Nacque il 17 marzo del 1936 a Plasencis, entrò nell'Istituto Saveriano giovanissimo nel 1949. Emessa la professione religiosa, diventato sacerdote e conclusi gli studi teologici, venne subito destinato alla missione in Burundi, dove ricoprì in una prima fase durata ben 20 anni, fino al 1984, il ruolo di parroco e di consigliere della Circoscrizione Saveriana.
Un posto poverissimo dove un occidentale mai si sognerebbe di andare a vivere. Eppure proprio qui, Don Bepi ha trovato il suo equilibrio, rinunciando a tutto, convinto che la felicità sia nel dare, nell’aiutare, senza condizioni, incurante dei pericoli, diventando così un gigante del bene e dell’ altruismo.
Per ben due volte è stato espulso dal Burundi perché “indesiderato” per essersi schierato a favore della giustizia e dei poveri. Il primo allontanamento nel 1972, durante la seconda rivoluzione, per aver fatto fuggire tre studenti che altrimenti sarebbero stati massacrati. Avendo ottenuto un permesso speciale dal Re, torna nuovamente in quelle terre spinto dall’amore per la sua povera gente e con l’ obiettivo di costruire un futuro a un popolo devastato dalle violenze, ma dopo sei mesi viene nuovamente espulso per aver difeso i suoi catechisti di fronte al Governatore.
Nel 1984 i suoi superiori disposero il rientro a Udine, nel ruolo di econono e animatore missionario nella Scuola apostolica Saveriana. Ma il suo cuore era nel Burundi.
Riparte nel 1989 prima per il Congo e in seguito per Bujumbura (la capitale del Burundi) dove vive per tutto il periodo della rivoluzione dal 1993 al 2005 a fianco degli sfollati, degli oppressi, sempre in prima linea anche a rischio della propria vita. Per questo, all’ Ambasciata del Belgio, padre Bepi viene soprannominato il “prete Rambo”perché, al volante del suo camion colmo di cibo e di medicine, raggiunge zone che, all’epoca, nessuno voleva avvicinare in quanto considerate troppo pericolose, con troppi posti di blocco e troppi militari sparsi con i fucili spianati.
Varie missioni in Burundi gli sono debitrici per diversi traguardi nella promozione umana: costruzioni, acquedotti, strade, case per i profughi, chiese. Conquistava tutti con il suo tratto gioviale e accogliente, che diventava però estremamente determinato e anche duro quando c'era da difendere i diritti della gente, ma anche combattere l'assistenzialismo e promuove il bene comune.
Rimarrà per sempre negli annali la sua amicizia con il cardinale Ersilio Tonini, che conobbe l'umanità e il grande impegno di padre Bepi raccogliendo fondi attraverso cui il missionario friulano costruì molte casette per i profughi che tornavano dopo la sanguinosa guerra civile tra Hutu e Tutsi, contribuendo così alla riappacificazione sociale del Paese.
Nel 2002 riceve il premio "Cuore Amico", che viene considerato come il "Premio Nobel missionario". Cuore Amico è un'associazione cattolica di Brescia che, ogni anno, consegna il premio a un sacerdote, a una suora ed a un laico. Il premio è stato assegnato a padre Bepi per essere "a fianco degli oppressi, degli sfollati, anche a rischio della propria vita, p. Giuseppe De Cillia accompagna ogni giorno il popolo burundese, nelle mille difficoltà di un paese dove la violenza è compagna di vita".
La salute è sempre stata una spina del fianco, anche se non lo ha mai distratto dall'impegno apostolico e missionario. Nel 2013, in seguito ad un incidente stradale in Burundi, gli fu asportata la milza. Poi l'emergere della leucemia, che lo costrinse al rientro in Italia nei primi mesi del 2014.
Morì il 4 gennaio 2015 a Parma nella sede centrale dei Missionari Saveriani dove era ricoverato; è sepolto nel cimitero di Plasencis.
Nella rivista Iwacu - Le voci del Burundi in lingua francese, in un'edizione speciale del 2011, vengono presentate "le 50 personalità che fanno progredire il Burundi", tra loro si trova anche don De Cillia, che viene presentato in un piccolo profilo biografico dal titolo: "De Cillia Giuseppe, soprannominato Buyengero". Ecco una traduzione dal francese del breve articolo pubblicato.
La motivazione del riconoscimento al missionario
"Per l'azione svolta in Burundi p. Giuseppe De Cillia ha ricevuto il premio dal Presidente della repubblica del Burundi, Pierre Nkurunziza, il 1° maggio 2010. Nel giugno 2011 egli ha ricevuto anche la nazionalità burundese.
Appena ordinato sacerdote, a 28 anni, il giovane Giuseppe arriva nel comune di Rumonge a Bururi, nel sud del Burundi, poi lavora a Murago e Rumeza, sempre nella diocesi di Bururi. In seguito, il vescovo di Bururi mons. Bernard Bududira lo invia a Buyengero, dove il missionario fonda la parrocchia. Dopo molti anni di servizio, è inviato nella missione di Kamenge, nella diocesi di Bujumbura.
Ma il dramma della guerra del 1993 colpisce il Burundi. Padre Giuseppe non si scoraggia affatto e, senza molti mezzi, aiuta i rifugiati e le persone più deboli. Mentre la guerra non è ancora terminata, p. Giuseppe incomincia la ricostruzione: nel territorio della missione egli costruisce case per la povera gente.
È così che settecento case di quattro stanze ciascuna sono costruite a Kamenge; nello stesso tempo nel quartiere di Mirango mette in piedi un dispensario, che presta le cure alle persone più povere, quasi gratuitamente.
Un villaggio di pace con 64 case, di cui 25 per i ragazzi di strada, è costruito anche in una località chiamata Ntereka. Padre Giuseppe costruisce alcune scuole e le strade a Gishingano. Attualmente, "padre Buyengero" partecipa anche alla messa in opera di una conduttura per l'acqua potabile a Nyambuye, Nyambeho e Gishingano.
Appassionato del Burundi, questo italiano originario di Plasencis, nella provincia di Udine, ha ereditato da suo padre muratore e da sua madre casalinga la semplicità, l'amore del lavoro e per il prossimo".