Gian Domenico Bertoli, sacerdote e archeologo

Gian Domenico Bertoli nacque a Mereto di Tomba il 13 marzo 1676. Trascorse la propria infanzia tra Mereto e San Daniele, dove iniziò i suoi studi. Frequentò, poi, la scuola dei Somaschi a Venezia e venne destinato dal padre alla carriera ecclesiastica. Prese gli ordini sacerdotali (nel 1702 celebrò la sua prima messa) e nel 1699 di venne canonico di Aquileia. Da allora la sua vita si divise tra l’impegno invernale presso la casa Canonica di Aquileia e il periodo di riposo estivo a Mereto, dove aveva preso ad ampliare una biblioteca di letteratura antiquaria e di epigrafia.
La sua passione per queste discipline lo spinse a raccogliere le antichità che l’aratro dei contadini riportava alla luce e che altrimenti sarebbero andate perse. La casa Canonica divenne il rifugio di lapidi ed oggetti quali monete, sigilli ed elementi decorativi ed architettonici.
Col tempo il portico della sua abitazione si arricchì di molti esemplari; l’opera di studio su di essi consisteva nel trascrivere le iscrizioni delle lapidi e delle epigrafi che riproduceva sotto forma di disegno e nel cercare di interpretarne il significato.
Gian Domenico Bertoli intrattenne rapporti epistolari con insigni studiosi contemporanei quali Scipione Maffei, Apostolo Zeno, Francesco Florio e Ludovico Antonio Muratori; lo scopo di queste corrispondenze era confrontarsi con le esperienze altrui onde ottenere consigli da persone che considerava esperte e colmare le proprie lacune. Bertoli trascrisse diligentemente tutta la sua corrispondenza fornendo, così, materiale prezioso per comprendere l’evoluzione del lavoro di ricercatore, e per approfondire il tutto dal punto di vista storico ed umano.
Nel 1739 uscì l’edizione in folio della sua prima opera, “Le Antichità d’Aquileia profane e sacre, per la maggior parte finora inedite”. A questa seguirono altre due raccolte che il Bertoli non riuscì a dare alle stampe.
Nel 1751 il Patriarcato fu soppresso e il Bertoli fu costretto ad abbandonare la casa Canonica di Aquileia e a ritirarsi a Mereto. Qui si dedicò soprattutto ad opere di beneficenza, per finanziare le quali cercò di vendere buona parte delle monete e medaglie che era riuscito a conservare.
Negli ultimi anni della sua vita ebbe la soddisfazione di venir nominato membro dell’Accademia Colombaria di Firenze, dell’Etrusca di Cortona e di quella di Udine.
Morì a Mereto il 21 marzo 1763, all’età di ottantasette anni.